Congresso ASCO - Tumore epatico in fase avanzata, Cabozantinib migliora la sopravvivenza globale
Solo il 10% dei casi di tumore epatici è diagnosticato nella fase iniziale quando l’intervento chirurgico può essere risolutivo.
In Italia vivono circa 27.745 persone dopo la diagnosi di questa neoplasia, rappresentando l’1% del totale dei pazienti oncologici.
Si tratta di un tumore con percentuali di guarigione ancora basse, infatti solo il 20% è vivo a cinque anni dalla diagnosi.
Lo studio di fase III CELESTIAL ha valutato Cabozantinib ( Cabometyx ) su più di 700 pazienti con carcinoma epatocellulare avanzato, precedentemente trattati.
L’Italia ha avuto un ruolo importante in questa ricerca, con l'Istituto Humanitas di Rozzano ( Sezione Tumori Apparato Gastroenterico diretto da Lorenza Rimassa ) in primo piano.
Cabozantinib ha dimostrato un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente importante rispetto al placebo nella sopravvivenza globale, in pazienti in seconda ( 70% del totale ) e terza linea ( 30% ).
La sopravvivenza globale mediana è stata di 10.2 mesi con Cabozantinib contro 8 mesi con placebo.
La mediana di sopravvivenza libera da progressione è più che raddoppiata: 5.2 mesi con Cabozantinib e 1.9 mesi con placebo.
In Italia nel 2017 sono stati diagnosticati 12.900 nuovi casi di cancro al fegato ( 8.900 uomini e 4.000 donne ).
In controtendenza rispetto alle altre neoplasie, questo tumore fa registrare un maggior numero di diagnosi nel Sud Italia rispetto al Settentrione, in particolare fra le donne ( +17% ).
Il dato è spiegabile con la prevalenza in queste aree delle infezioni causate dai virus dell’epatite B ( HBV ) e del virus dell'epatite C ( HCV ). Questi virus rappresentano le principali cause della neoplasia a livello globale, insieme all’alcol e alla sindrome metabolica.
In Italia oltre il 70% dei casi di tumori primitivi del fegato è riconducibile a fattori di rischio noti, collegati soprattutto al virus dell’epatite C.
Una elevata percentuale di persone che contraggono questa infezione, stimata fino all’85%, va infatti incontro a cronicizzazione.
Il 20-30% dei pazienti con epatite cronica C sviluppa, nell’arco di 10-20 anni, cirrosi e, in circa l’1-4%, successivo epatocarcinoma.
Da 10 anni il trattamento standard di questa patologia è rappresentato da Sorafenib.
Nello studio CELESTIAL sono stati arruolati pazienti che avevano ricevuto una o due linee di terapia ed erano andati in progressione dopo uno dei trattamenti precedenti.
Cabozantinib potrà trovare indicazione nei pazienti intolleranti a Sorafenib, o come terza linea.
La maggior parte dei pazienti affetti da carcinoma epatico presenta già una patologia, in particolare cirrosi, che ha determinato lo sviluppo del tumore. Da qui le maggiori difficoltà nel trattare questa neoplasia.
Solo in una minima percentuale di casi il tumore insorge in un fegato sano, e in questi pazienti la diagnosi è spesso tardiva con sintomi già evidenti per la presenza di metastasi a distanza o per lesioni epatiche estese.
Il tumore del fegato può essere trattato chirurgicamente, con trapianto di fegato o con terapie locoregionali ( ad esempio ablazione, chemioembolizzazione, ecc ) finché rimane localizzato al fegato.
Rimane aperto il dibattito su quando effettuare il passaggio dai trattamenti locoregionali a quelli sistemici.
Un altro problema da affrontare è l’assenza di biomarcatori per selezionare i pazienti candidabili a una specifica terapia. ( Xagena Medicina )
Fonte: Meeting ASCO ( American Society of Clinical Oncology ), 2018
Xagena_Salute_2018
Per approfondimenti sul Tumore al fegato: OncologiaMedica.net https://oncologiamedica.net/